“E ho tutto dentro e poi mi accorgo che non ho parole
non c’è poesia solo malinconia e malumore
e resto qui tra le mie mani e il resto del dolore
e resto qui tra le mie mani e una contraddizione”
Queste sono le parole di Controvento di Gnut, una delle canzoni più belle e toccanti della colonna sonora del film di animazione “L’Arte della felicità” di Alessandro Rak, primo lungometraggio realizzato dalla Mad Entertainment, (factory napoletana nata nel 2010 da un’idea di Luciano Stella), uscito nel 2013 e vincitore agli Oscar europei come Miglior Film di Animazione. E queste parole sembrano ben incarnare il personaggio protagonista del secondo film di MAD, firmato da Rak assieme agli amici e animatori Ivan Cappiello (esperto di 3D), Marino Guarnieri e Dario Sansone, tratto dalla fiaba contenuta ne “Lo Cunto de li Cunti” (1634-36) di Giambattista Basile: Gatta Cenerentola.
E la Gatta nell’opera dei quattro registi napoletani diventa Mia, una ragazza quasi diciottenne che ha perso la voce da piccola quando ha assistito all’omicidio di suo padre, l’armatore Vittorio Basile (cognome che omaggia il Basile de Lo Cunto), un uomo pieno di progetti per Napoli, in particolare per il suo porto, che vuole rendere un vero e proprio Polo della Scienza e della Memoria. Ma, come nelle migliori storie, la speranza viene uccisa all’inizio del film assieme a Basile e sembra che per la Megaride, nave in cui è ambientato gran parte del film e quartier generale di Basile, non resta che affondare nelle grinfie del perfido e macchinoso Salvatore Lo Giusto (doppiato magnificamente da Massimiliano Gallo) detto O’ Re, che è a capo di traffici di droga.
Mia non parla più dunque, bistrattata dalle sorellastre e dalla matrigna (il cui nome, Angelica, contiene le contraddizioni tipiche di Napoli, città del male e del bene, dell’amore e della morte, della cazzimma e dell’altruismo più puro) troverà in Primo Gemito (anche qui il nome del personaggio diventa evocativo di altro) un “principe” capace di salvare lei e Napoli dalla perdizione. Sembrano rivolte a lui le parole della canzone dei Foja che accompagna il film, “A chi appartieni” (“Ma saccio ca n’omme è cchiu’ sulo si resta assettato a guardà” cioè “Ma so che un uomo è più solo se resta seduto a guardare”). E stare seduti a guardare mentre ciò che si ama si spegne non fa proprio per Gemito, pronto a gridare la vendetta sua, di Mia, di Basile e soprattutto di Napoli. Quella stessa Napoli che, tra un fuoco d’artificio e l’altro, sta diventando un cumulo di cenere.
La rivalsa, la malavita, la malinconia e la contraddizione, ma anche la fede e il canto, la poesia e la lordura. La potenza di Gatta sta sia nella narrazione, ritmica e spedita, tagliente e profonda come i suoi personaggi, sia nel suo aspetto tecnico dove il 3D (in particolare un nuovo software open source, Blender, mai usato prima per grandi produzioni e ora reso ancora più efficace dagli animatori e programmatori di MAD) diventa uno strumento capace di disegnare le sfumature dei corpi e i cambiamenti di luce degli ambienti fino a renderli pura magia.