Non ci deve essere un’arte staccata dalla vita: cose belle da guardare e cose brutte da usare. Bruno Munari
Di Irene Guerrieri sapevo tre cose, prima di incontrarla: che ha studiato Design industriale; che progetta giochi e giocattoli; che ha conosciuto Bruno Munari. Mi siedo con lei al Mimaster, una mattina non troppo tediosa di ottobre per chiacchierare della sua storia e del workshop di progettazione del gioco che terrà con gli studenti del master in corso. Irene è una persona brillante, allegra, precisa quando scrive e amante dei dettagli. È schietta quando parla. E non stupisce, quindi, che il gioco sia rimasto sin da bambina il suo mondo di riferimento.
Sono una bambina dentro, mi piace proprio il gioco. Come tanti bambini disegnavo molto, la scelta di iscrivermi ad Architettura (alla Sapienza di Roma), indirizzo Design industriale, dopo il liceo, è stata determinata, senza troppi dubbi. La tesi di laurea già era indicativa: progettazione di un parco giochi per bambini ispirato alla fiaba di Pinocchio. Tesi molto apprezzata, anche dalla Fondazione Collodi. L’illustrazione editoriale è sempre stata una finestra aperta alla mia curiosità, mentre ero all’università ho pubblicato il primo libro Giacomino dei colori per la Panini (all’epoca Malipiero). Avevo 19 anni. All’inizio ho lavorato nella scolastica come illustratrice, man mano ho cominciato a progettare oggetti e giochi. Il primo oggetto è Fernando, un omino in gomma sintetica espansa, creato per la ditta Progetti. È un oggetto bidimensionale, che si modifica piegandosi facilmente, con varie funzioni. Un oggetto ludico bidimensionale, che si modifica piegandosi facilmente, non specifico per bambini ma adatto al loro pensiero. “La trasformazione” ha sempre avuto per me un grande fascino, perché stimola creatività, e rende un oggetto interattivo, così da poterla definire una caratteristica quasi sempre presente nei miei progetti.