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(ITA) Alessandro Sanna
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“Le storie non esistono senza il lavoro quotidiano di stravedere”
(ITA) Fiume lento rappresenta uno dei vertici del tuo percorso. Com’è nata l’idea di realizzare un’intera opera dedicata al tema del fiume?
Non ho fatto nessun progetto e non avevo nessuna idea ma ho semplicemente assecondato la voglia di dipingere all’acquarello il paesaggio che vedevo fuori dalla finestra.
Ho provato ad immergermi del mondo che i miei occhi hanno sempre visto senza documentarmi con materiale fotografico o altro ma affidandomi alla memoria. Per memoria intendo non solo la mia ma anche quella che a voce ho sentito dai vecchi. Un cammino di tre anni che piano piano portavo avanti quasi di nascosto dove ho attraversato non pochi momenti di frustrazione chi mi invogliavano a gettare la spugna più volte e sempre puntuale arrivava in mio soccorso l’urgenza di continuare a stare in quel mondo parallelo fatto di piccole silhouette e cieli umidi sempre in attesa di congiungersi con l’acqua del fiume.
Questo lavoro si sviluppa su più dimensioni. Se è evidente quella della natura, sorprende l’attenzione verso il piccolo mondo di paese, con le sue feste e tradizioni. Sembrano storie sentite e vissute in prima persona! Ti sei ispirato anche ad esperienze o ricordi?
Sicuramente ci sono le esperienze vissute ma mi sono affidato all’improvvisazione ed ad una memoria non mia, inventata, sentita da chissà chi e depositata indelebilmente nel mio immaginario. Forse a raccontare le storie sono sempre la mia mano in accordo alchemico con gli strumenti da disegno che a mia insaputa giocano a rovistare tra la polvere delle mie esperienze vissute e sognate. Cerco ossessivamente una energia che possa dare vita alle figure che abbozzo in punta di pennello. Acqua, colore e pennello sono gli unici attori che porto in scena e questi se la devono cavare con l’immacolata e spietata retrosia della carta.
Il soggetto dell’acqua compare spesso nei tuoi lavori… Hai forse un legame particolare con questo elemento?
L’acqua è il mio elemento che fin da bambino mi ha accompagnato. L’acqua è anche un modo di pensare. Qualcuno direbbe “pensiero fluido” e io mi ritrovo spesso a fare pensieri che si sciolgono e prendono forme a seconda del contenitore che li supporta. La tecnica dell’acquarello è venuta a forza di provare e riprovare a fare immagini che sembrano macchie. La matita: troppo educata, le penne: troppo intelligenti e fedeli. L’acquarello e il pennello sono sempre diffidenti e mai esperte. Lavoro come uno stupido che non capisce mai la lezione e ricomincia la lezione da capo. Questo è il medium che prediligo: l’acqua. Spietata e inarrivabile. Lo schizzo e il definitivo sono tutt’uno. Ogni volta ne esco sconfitto e allora il disegno riuscito è quello che accetto e che meglio riesce ad essere la misura esatta tra il mio stato di conscienza e inconscienza. Non mi fido né dell’uno e nell’altro sia chiaro. Di sicuro mi piacerebbe affidarmi totalmente all’inconscio ma non è possibile.
(ITA) Anche l’acquerello è un altro aspetto ricorrente del tuo lavoro. Cosa ti piace di questa tecnica?
Come ho detto prima la cosa che mi piace è che non risponde mai ai miei comandi e sono costretto ad affidarmi alle imponderabili variazioni di umidità dell’aria, di luce, di umore mio e del mio cane. Tante variabili che ogni volta vengono manomesse da chissà quale misterioso volere.
In diversi tuoi libri (come Il Bosco, Nuvolari, Fiume Lento) compaiono gli spazi ampi della Pianura Padana. Cosa ti colpisce di questi luoghi? Ci sono altri soggetti che ami particolarmente rappresentare?
La pianura con i suoi larghi spazi, le luci e le nebbie che nascondono tutto, sono vestiti attaccati saldamenti alla mia pelle. La mancanza di grandi accessori figurativi davanti agli occhi ha sempre creato scintille nella mia immaginazione. La povertà di soggetti davanti agli occhi chiede al mio cervello di vedere di più, di stravedere. Il posto dove ho vissuto mi ha insegnato a costruirmi un immaginario. I soggetti che prediligo oltre alla figura umane in tutte le sue sfaccettature sono gli animali perché sono inafferrabili come l’acqua. Poi gli alberi e i cieli che starei a disegnare tutto il giorno così senza motivo.
Dai tuoi disegni emerge un senso di immediatezza, una forte energia e divertimento, sembra che le tue tavole nascano di getto e con facilità. E’ veramente così o c’è dietro una ricerca che richiede impegno e dedizione?
Da quando disegno ho sempre dovuto fare molta fatica per capire come e cosa fare. A partire dai tredici anni, la mia schiena ha iniziato a piegarsi per tante ore al giorno. Il lavoro che ne risultava era sempre deludente e superficiale. Frustrante da morire. Una persona consapevole e con un minimo di buon senso avrebbe smesso subito ma c’era qualcosa che mi faceva continuare e non so ancora bene cosa sia. Ho cominciato presto a togliere il superfluo e a scalfire gli scogli del tecnicismo per avvicinarmi ad un equilibrio sottilissimo che nasce dall’accettare la natura del propria gesto e dal volore dire qualcosa che con le parole non riuscirei a fare. Nella mia testa insiste una vocina che dice sempre che meglio di così si può fare ma spesso non la ascolto e libero il disegno venuto al mondo sperando se la possa cavare con le proprie gambe o per meglio dire con la propria grana (quella della carta).
(ITA) Quando hai capito che potevi fare l’illustratore di professione?
Ho capito dopo tanti anni di pittura e disegno che realizzare immagini che abitano dentro il libro è il mio modo di comunicare. Ho studiato storia dell’arte e mi sono arricchito delle immagini di pittori di ogni epoca cercando sempre di coglierne l’energia. Per natura sono un poco melanconico e questo mi ha fatto sempre cercare un posto silenzioso per stare da solo e giocare. Il gioco col tempo si è tramutato in disegno e pittura. Non sono un lettore forte ma ho imparato a leggere i libri dalla passione per le immagini. Adesso mi trovo a comprare molti più libri senza immagini di un tempo come se non avessi bisogno di figure ma di parole buone. Penso che per fare il mio mestiere bisogna essere distratti o un pochino svogliati e perditempo per afferrare la vera energia che fa nascere una buona immagine. Voglio dire con questo che il mio non è solo un mestiere ma un continuo camminare sul filo che lega la vita reale con quella immaginaria e sognata, con il naso puntato a quella nuvola laggiù. Un artista che amo profondamente è Paul Klee che meglio di tutti ha indagato l’origine delle cose attraverso l’invisibile. Un altro artista che amo è Giorgio Morandi che ha cercato l’invisibile nel visibile dipingendo sempre bottiglie e paesaggi.
In realtà sei più di un illustratore: sei un narratore per immagini. Come nascono le tue storie?
Mi piace definirmi immaginatore. Porto a spasso gli occhi assumendomi la responsabilità di un rischio enorme: aver voglia di disegnare. Ogni cosa che vedo la vorrei disegnare ma non lo faccio perché la mia mente la disegna comunque. Le storie, le mie storie, nascono quando il mio cervello non può più contenere le immagini che registra, vuole inventarle, masticarle e sputarle. Le storie non esistono senza il lavoro costante e quotidiano di stravedere. A forza di stravedere accadono le visioni che devo prendere al retino o retina (dell’occhio) per stenderle coraggiosamente sul foglio.
(ITA) Segui dei rituali particolari quando disegni?
Di solito inizio a tagliare grandi fogli carta con le nude mani. Preparo le boccette di colore e assalgo il foglio prima con vigore e poi con stanca disattenzione; tra i due modi di agire passa tutta la giornata. Spesso il lavoro di una giornata non porta a nulla ma pazienza ci riproverò domani. Tra una velatura di colore e l’altra sfoglio un libro o mi alzo a vedere cosa c’è sul leggio vicino al termo dove mi scaldo le mani e sbuccio una arancia. Esco con il cane e quando torno rivedo le tavole che spietatamente butto o salvo a secondo del primo impatto. Se sono incerto ne faccio un’altra e ne faccio comunque un’altra anche se la tavola finita mi soddisfaceva.
Hai consigli per un aspirante autore?
Più che consigli ho un augurio che estendo a tutti: buona fortuna. Due semplici parole che vogliono dire tanto. Fortuna di capire presto le proprie inclinazioni. Fortuna nel coltivare un carattere caparbio e coraggioso. Fortuna nell’avere disponibilità verso se stessi e per gli altri. Fortuna nel sapere ascoltare le persone esperte ma soprattutto a saperle riconoscere. Fortuna nell’avere buoni maestri o per lo meno sapere dove cercarli. Fortuna ad imparare a chiedere e proporre. Fortuna ad essere autocritici. Fortuna a non credere ai decaloghi e alle buone maniere scolastiche. Fortuna a non trovare mai uno stile e anche a non cercarlo. Buona fortuna.
Questo articolo è stato originariamente pubblicato su Fumettologica