Si chiama Last Day Of June, è uno dei videogiochi più discussi dell’ultimo anno e racconta una storia struggente che trascende l’idea di semplice videogioco, pescando a piene mani nel mondo del cinema d’animazione. Tutto qui? No, è anche un prodotto completamente italiano, firmato dalla Ovosonico, la casa di produzione di videogames con sede a Varese. Dopo Murasaki Baby, Massimo Guarini e il suo staff fanno ancora centro con questo nuovo titolo. Il successo di critica che stanno avendo in questi mesi è straordinario. Sin dalla data di rilascio a fine agosto, Last Day Of June, distribuito da 505 Games per Playstation 4 e PC, sta calamitando su di sé un’incredibile attenzione che dimostra come il made in italy possa dire la propria anche in questo settore. Il titolo è la prima sorpresa. Il primo sussulto del cuore di un intero gameplay che porta l’emozione al centro dell’esperienza. Quando si apre l’ambientazione iniziale e vediamo un bellissimo tramonto estivo con una coppia di innamorati ozianti in riva ad un lago, in automatico quel “June” assume dentro di noi una connotazione temporale: June come Giugno. Ma giusto il tempo di interagire e capire i comandi, portare il protagonista Carl dentro un’automobile insieme alla compagna per ripararsi da un temporale improvviso e leggere i titoli di testa che scorrono delicati, ed ecco che subito entriamo nel vero prologo dell’intera vicenda. L’auto sulla quale viaggiamo sbanda, esce di strada, la schermata passa dai toni caldi e accesi di un esterno giorno ai toni scuri e freddi di un interno notte: Carl si risveglia in un salotto su una sedia a rotelle, accanto a lui una poltrona vuota. La sua compagna non c’è più: June è morta nell’incidente. Con questa scena iniziale il videogioco strizza chiaramente l’occhio al famoso film dei Pixar Studios, Up. Il contrasto è molto forte. La transizione dalla calda serenità estiva al freddo incubo notturno è ben calibrata, netta e ricorda, appunto, il sogno spezzato di Ellie e Carl (abbiamo pure lo stesso nome) che tanto ha fatto commuovere bambini e adulti di tutto il mondo. Ma cosa è successo? Perché l’auto ha sbandato finendo fuori strada?
Possiamo cambiare il passato? Queste sono le domande che faranno da perno all’interno gioco. Last Day Of June non è semplicemente la storia di una perdita o della fine di un amore; Last Day Of June è un viaggio intenso nel butterfly effect di un tranquillo pomeriggio al lago. Ogni azione porta a molteplici conseguenze che a loro volta diventano cause di nuovi fatti.
Quali sono, quindi, le motivazioni della morte di June?
Attraverso quadri “magici” dipinti dalla fidanzata, Carl potrà rivivere le ultime ore prima dell’incidente in una sorta di loop-dei-ricordi senza fine. Cercherà di cambiare gli eventi e analizzerà cause ed effetti di ogni incontro con gli altri personaggi del racconto: un ragazzino, un’amica, un cacciatore e un anziano, in qualche modo tutti collegati alla coppia e, quindi, anche alla disgrazia. Carl, mischiando le carte del destino (la grafica che divide i capitoli mostra proprio le card dei personaggi), dovrà compiere delle scelte, attribuirsi nuove responsabilità, anche piccole, per tentare di svegliarsi in un mondo nel quale l’incidente non sarà avvenuto e June sarà ancora viva.
I ricordi sbiaditi, le ultime immagini sfuocate, il non-detto (June stava per rivelare a Carl una notizia meravigliosa) si riflettono anche sulla veste grafica del videogioco. Se rivedete degli echi della pr duzione di Tim Burton avete ragione: Guarini si è avvalso della collaborazione artistica della regista Jesse Cope, che lavorò fianco a fianco con Mr. Burton per la realizzazione di Frankenweenie. Carl, June e gli altri personaggi assumono lunghi colli esili e quelle teste enormi e sproporzionate che r galano alla scena, sì, l’evidente stile caricaturale e buffo, ma anche quella vena di inquietudine e squilibrio che quasi vuole sottolineare una fragilità dei corpi, forse della vita stessa. Gli occhi diventano solo cavità anonime, rientranze del viso senza bulbi oculari che, però, non generano nel giocatore fastidio o distacco. Al contrario, l’impersonalità dello sguardo è il ponte più veloce per immedesimarci in Carl, June e gli altri; questo anche perché il linguaggio del corpo non è appariscente o melodrammatico, ma misurato, dolce, calibrato con movenze non oltre il necessario.