L’anima delle storie Racconto di un carteggio con Simone Massi
di Paolo Fossati28.10.2017
“Non voglio sapere il mistero delle rondini e delle lucciole, mi basta che tornino quando è il tempo”
1. RACCONTARE IL MOVIMENTO
S’inizia sempre con «c’era una volta». È una formula rassicurante, radicata nel passato, come tutti i rituali. Tuttavia esistono storie che si possono raccontare solo declinando i verbi al presente e rivolgendo lo sguardo al futuro. Sono quelle illustrate da Simone Massi, che ha scelto di esprimersi attraverso il cinema d’animazione: arte nata per regalare al disegno un divenire. Un processo che si manifesta ancor più nel caso dell’artista marchigiano, grazie alla particolare tecnica figurativa utilizzata: il metodo consiste nel graffiare con una puntasecca le figure precedentemente delineate su carta tramite pastelli a olio. In tal modo il soggetto di partenza si trasforma a poco a poco, dopo ogni singola incisione, mostrando un’anima che freme nascosta nelle forme.
Così come appaiono scale a pioli che diventano binari ferroviari, accade anche che una serie di strade intrecciate si rivelino invece essere… nient’altro che le linee sul palmo d’una mano. Esempi, questi, di come tutto il visibile si scopra mutevole, nella danza d’immagini proposta agli spettatori dal regista. Questo continuo rimescolarsi di tratti, nei cortometraggi di Massi, ricorda l’essenza stessa del concetto di racconto, ovvero quel percorso al quale ci si affida per delineare una vicenda attraverso l’evolversi degli eventi e dei percorsi di vita dei personaggi. È uno stile che sfida il tempo. Lo cristallizza, scomponendo il movimento in tante fasi, tutte da illustrare per ricrearne l’illusione dinanzi agli occhi di chi guarda l’opera. Osservando i disegni di Massi scorrere veloci si accede ad una dimensione confidenziale. Sembra di tessere le trame di un discorso intrattenuto a distanza, proprio come succede ripercorrendo, d’un fiato e in sequenza, gli scritti di un carteggio. Dunque l’animatore, forse, non è altro che un «amico di penna», che sperimenta l’uso di forme d’espressione alternative alle parole. Preferisce tracciare linee animose e poetiche. Segni capaci, se osservati, di tradursi in emozioni.
2. RIVELARE LA VOCE DELL’AUTORE
Se con i disegni Simone Massi offre la propria anima, le sue risposte alle domande dell’Illustratore Italiano rappresentano invece l’occasione per scoprire la sua voce.
Simone, ami definirti «animatore resistente» e spieghi bene, nel manifesto pubblicato sul tuo sito web, quanto sia complessa la vita dell’artista indipendente: una continua altalena tra solitudine e bagni di folla (non sempre costituita da individui benevoli). Le storie che racconti sembrano scaturire proprio da questo particolare equilibro: forse nascono ed esistono proprio perché tu resisti?
Non ci ho mai pensato, può essere. Magari oltre alla resistenza c’è qualcos’altro, penso a una certa sensibilità di fronte a un mondo che ho visto da bambino e che ho appena fatto in tempo a veder morire. Probabilmente le storie che racconto prendono vita da un misto di commozione e determinazione.
Colpisce la tua dedizione: riscontriamo coerenza tra l’arte che hai scelto e il tipo di soggetti che prediligi (la natura in tutte le sue forme, gli animali). Dunque sia le tecniche di animazione che gli universi narrativi messi in scena richiedono pazienza (la prima per portare a termine le opere, gli altri per essere indagati).
Hai mai pensato che, in fondo, stai raccontando ai tuoi spettatori l’importanza del tempo?
L’incipit della prima risposta vale per la quasi totalità delle domande che mi sono state fatte e che mi faranno. Non sono bravo a rispondere, trovo che lo spettatore attento e con un minimo di sensibilità sia sempre più lucido dell’autore. Sforzandomi di trovare una spiegazione: io non devo pensare troppo a quello che faccio, lo devo fare e basta. Non sono mai stato curioso, non voglio sapere il mistero delle rondini e delle lucciole, mi basta che tornino quando è il tempo. Appunto.
Mettermi a indagare i possibili messaggi delle mie storie non mi va proprio, ma sono sempre tanto contento quando sono gli altri a farlo.
Vivere lontano dalla frenesia dei centri urbani e animare lontano dalle logiche «industriali» delle grandi produzioni, sono scelte che evocano un grande senso di libertà. Una libertà che però appare legata a doppio filo all’etica di profondo rispetto nei confronti degli essere viventi e del pianeta espressa nelle tue animazioni, che ti è valsa paragoni con il cinema di Olmi e Piavoli. Ti ritrovi in questi riferimenti artistici?
Per come sono stati descritti e per come me li immagino sì, mi ci ritrovo eccome. È probabile che io sia più «orso» e un filo più sensibile alla questione animale, ma come loro profondamente radicato, libero, riservato, ostile allo spostamento.
A proposito di Animavì, quando è nato il desiderio di trasformare il tuo borgo natìo in un crocevia della creatività? Che spirito e che atmosfera t’immagini?
È un’idea che ho avuto tanti anni fa dopo che avevo visto come funzionavano gli altri festival: non
mi stava bene niente, non capivo il perché di certe scelte. E dunque ho pensato a un festival come mi piacerebbe che fosse. A parte qualche timido tentativo sostanzialmente l’idea è rimasta ferma per quindici anni, finché la scorsa estate ho trovato le persone giuste per realizzarla: su tutte Mattia Priori che è l’organizzatore vero e proprio.
Nelle intenzioni sarà un festival cinematografico atipico, con animazioni rigorosamente di genere poetico-artistico e senza vincoli di durata o anno di realizzazione.
Mi interessa unicamente la qualità, dei numeri non so che farmene. Un festival con pochi film, ma ci sarà dell’altro che considero importante come e più dell’animazione: le persone, le storie e la musica. Naturalmente tutto in piccolo, perché siamo consapevoli della nostra dimensione, e secondo le nostre possibilità che sono, invero, molto limitate.
3. ILLUSTRARE UN SOGNO CHE DIVENTA REALTÀ
«Io so chi sono. Sono mio nonno e mio padre. Ogni faccia che ho visto, pensato e baciato».
Simone Massi si descrive così nel suo cortometraggio autobiografico Io so chi sono (2004).
A questa identità, che si nutre di memoria, si somma però quella d’animatore e illustratore di fama internazionale (oltre 200 riconoscimenti, in più di 60 Paesi), insomma: quella artistica, costruita passo dopo passo attraverso i tanti film realizzati in vent’anni di attività. Dopo due Nastri d’Argento e la realizzazione della sigla per le ultime quattro edizioni della Mostra del Cinema di Venezia per Massi è arrivato il momento di Animavì, per sperimentare nuove formule di narrazione secondo una linea ben definita, senza giri di parole, fin dal proclama on line sul sito ufficiale, dove si legge:
«Animavì vuole rappresentare a livello internazionale il “Cinema di animazione artistico e di poesia”. Ovvero quel genere di animazione indipendente e d’autore che si propone di raccontare per suggestione. Animavì si propone di fare chiarezza, prendendo le distanze in maniera netta dall’animazione commerciale e di massa.
Il festival vuole essere una vetrina sulla corrente più interessante del genere, riferendosi esclusivamente a lavori che si rivolgano all’anima dello spettatore.
Opere in cui ogni singolo fotogramma è già concepito come una piccola opera d’arte».
Uno ad uno, come i graffi che Massi dispone sul foglio per comporre una figura, molti personaggi della cultura si stanno entusiasmando e si preparano all’appuntamento.
Sono già più di trenta gli artisti che compongono il comitato d’onore del festival, che vanta la presenza di Emir Kusturica, Paolo e Vittorio Taviani, Marco Paolini, Goffredo Fofi, Erri De Luca, Laura Morante, Valeria Golino, Neri Marcorè, Daniele Vicari, Ascanio Celestini, Daniele Gaglianone.
Si comincia spesso con «c’era una volta».
E i migliori finali, talora, coincidono con nuove partenze.
Stavolta è proprio così: mentre i fotogrammi in continua trasformazione di Simone Massi irrompono nella realtà, pronti a riconfigurarla, anche la sua idea di cinema si diffonde.