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JEEG ROBOT

TU SEI IL SUPER EROE

Celebrato da 7 David di Donatello, “Lo chiamavano Jeeg Robot”, esordio del romanoGabriele Mainetti, è ad oggi il più fortunato caso di cine-comics nostrano.L’opera rivela però, più che l’avvenire, la nemesi di quell’immaginario generazionale, che dagli anni ’70 torna, trainato dal popolare anime “Jeeg Robot d’acciaio”, solo per affondare e risalire una inedita rielaborazione mitopoietica e cross-mediale.

Anticipava infatti l’uscita in sala, l’omonimo albo illustrato, che nelle intenzioni degli autori (R. Recchioni – sceneggiatura; G. Pontrelli – disegni; S. Simeoni – colori) costituisce un testo trasversale al film, una biunivocità iniziatica della fruizione e non solo adattamento. L’approdo editoriale di Enzo Ceccotti, super eroe concepito in Italia, ma su evidente matrice Marvel, si esibisce quasi come il vero coronamento della formula sperimentata da Mainetti già nei suoi precedenti cortometraggi, “Basette” (2008) ispirato a Lupin III e “Tiger boy” (2012) all’Uomo Tigre, ove si intersecano l’infanzia nella degradata periferia romana e la mitomania come surrogato esistenziale. Proprio dalla lapidaria battuta di “Tiger Boy”, “Dall’alto gli stronzi fanno meno paura!”,pare procedere “Lo chiamavano jeeg robot” in continuità, non solo col filone del giustiziere “casalingamente” mascherato, ma anche nella filosofia di pensiero. Una panoramica aerea sulla capitale, a planare dentro un forsennato inseguimento di Polizia, è la genesi cinematografica dell’invulnerabile Ceccotti, che nell’epilogo, ormai osannato paladino, svetta sul Colosseo a sovrastare Roma, così deprecabile e fragile.

Tale lo ritrae Recchioni in una delle 4 illustrazioni di copertina: sagoma scura domina lo skyline stilizzato dell’Urbe; mentre le altre cover ne isolano la maschera lavorata a maglia (Zerocalcare), i personaggi stinti dell’anime giapponese (Ortolani) ed il sub-plot amoroso nella sproporzione dei ruoli, imponente lui, indifesa lei (Bevilacqua). Anche il film marca il titanismo iconico del personaggio, dal murales del super criminale con bancomat sottobraccio (a soppiantare l’effige intramontabile di Bob Marley) alla viralità web, crogiolo anarchico e delirante. Ed è quest’ultima la deriva imboccata dal fumetto rispetto alla sceneggiatura filmica: l’invettiva contro la morbosa e simultanea visibilità dell’esserci.

La prima pagina si apre su una chat wathsapp, che in 4 battute g-localizza la cronaca di Tor Bella Monaca, cita fcbk, la sua saturazione e l’imperante ridicolizzazione, passando dal video del telefono a quello di pc e tv. Le sequenze mostrano nella sua sudicia quotidianità (che cela al lettore, non ancora spettatore, un terremoto di eventi) un teledipendente in mutande, con i gadget del suo beniamino tra i dvd. Ma basta una invocazione di aiuto dalla strada, perché si fiondi fuori dalla finestra e piombi illeso a terra. “Tu sei il super Eroe!” sospira la vittima tratta in salvo e già irretita dal moloch – emotaiment a sguazzare nel coté gossip della vicenda. Nell’incubo spettacolarizzato irrompe lo Zingaro, figlio ossessivo-compulsivo del flusso catodico degli ultimi decenni. Zoombi violaceo, brama la speculazione del simulacro vivente come arma di dominio di massa e da coscienza avida del suo tempo denuncia la necessità di strumentalizzare l’(in)giustizia perpetrata sotto i riflettori dell’incauta opinione pubblica. Così se le quotazioni di un eroe possono scendere, quelle di un megalomane violento possono salire e Ceccotti, ancora rintanatosi sui tetti della città, continuare a meditare sulla indiscriminata fabbrica di idoli/martiri da adulare se soccombono, da linciare se contravvengono alle prescrizioni dell’audience: “O muori da eroe o vivi tanto a lungo da diventare un povero stronzo”.