5 domande a Anna Parini a proposito del 14 gennaio
di Maria La Duca18.12.2018
Che sia una pagina interna, una serie di icone a corredo di un pezzo o ancora la compagna abbonamenti che passa sui social (sempre illustrata, sempre efficace), l’effetto di una cover per uno dei più grandi magazine del globo risuona come il canestro dai tre metri all’ultimo secondo della finale NBA. Ci vuole un campionato intero per vincere ma quell’ultimo punto è del tutto magico. Questa almeno è l’impressione per chi prova un fascino profondo per questo grande mestiere di comunicazione.
Lo scorso 14 gennaio ai tre metri è arrivata Anna Parini, qui conosciuta dal grande pubblico per la bella collaborazione con Robinson di Repubblica, che ha segnato senza batter ciglio. Le abbiamo chiesto com’è andata, partendo dall’inizio.
Raccontaci di te, come ti sei avvicinata all’illustrazione editoriale?
Ho iniziato relativamente tardi, nel corso triennale che frequentavo era un ambito del tutto trascurato come possibile sbocco professionale e in quel momento in Italia erano davvero in pochi a dedicarsi esclusivamente a quello. Poi una nuova generazione di illustratori ha iniziato ad emergere e a farsi spazio. Ricordo un’intervista ad Alessandro Gottardo – aka Shout – in cui parlava di illustrazione concettuale e del nuovo mercato che si era aperto in America soprattuto nel campo editoriale, grazie anche all’avvento di internet. Gli scrissi immediatamente e grazie ai suoi consigli sono riuscita a muovere i miei primi passi in un mondo che per me allora era sconosciuto. A quel punto sono partita per New York e lì è iniziato tutto.
Per molti illustratori il New Yorker è tra le più importanti consacrazioni per il proprio lavoro: qualcuno dice di aver messo una cartolina nella loro casella di posta, qualcun altro di aver mandato mail in continuazione. Com’è andata per te?
La mia prima pubblicazione per il New Yorker risale al 2015, mi contattò Chris Curry – una dei loro art director – per un articolo che parlava di sanità. Da lì le collaborazioni divennero molto più frequenti ma mai mi sarei immaginata in copertina.
Più tardi, nello stesso anno, ricevetti una mail da Françoise Mouly, art editor della rivista, dove mi chiedeva se me la sentissi di pensare ad un’immagine di copertina per le elezioni presidenziali di quell’anno, che davano erroneamente favorita Hillary Clinton. Quella volta pensai di esserci vicina, ma poi ci fu una sorpresa. Negli anni non mancarono altri tentativi e finalmente quest’anno uno di quelli è andato in porto.
Qual è stata la loro richiesta questa volta?
Inizialmente questa idea era nata per il numero di ottobre, che aveva come tema “libri e autunno”, dove la ragazza appariva assorta nella lettura, davanti ad una carrozza della metro in partenza. Poi però scelsero un’altra bellissima immagine, opera del leggendario Jean-Jacques Sempé dal titolo “Group reading”. A dicembre fu di nuovo Françoise Mouly a scrivermi: mi chiedeva se potessi proporle un’adattamento della mia illustrazione dove la ragazza fosse immersa nel trambusto natalizio di New York. E così arrivammo a questa soluzione.
A cui si è aggiunta anche un’animazione. Un modo per coinvolgere ancora di più il pubblico online o una precisa esigenza dell’editore?
Nella mia testa questa immagine è sempre stata in movimento, una scena che ho messo in pausa per la versione cartacea. L’animazione è opera di Jose Lorenzo, con cui ho collaborato moltissimo nell’ultimo anno. È stato un procedimento complesso per i numerosi accorgimenti tecnici, ma credo ne sia valsa la pena.
La carta ci offre una vicinanza alla lettura che credo sia molto difficile da rimpiazzare; è interessante oltre che necessario pensare a come offrire al lettore un nuovo tipo di esperienza quando si passa al digitale.
Quali consigli puoi dare a chi vuole specializzarsi nell’illustrazione editoriale?
Allena l’occhio, la testa e accatta di fare errori, soprattutto all’inizio. Una volta un cliente, dopo una pubblicazione di cui non ero molto soddisfatta, mi disse: “Non ti preoccupare, non esiste nulla di più vecchio del giornale di ieri”.